La chiesa di San Quirico, oggi scomparsa, presentava una dedicazione più comune nella zona (vi erano esempi a Magenta e Albairate, tra gli altri). Stando le fonti, doveva trattarsi di un oratorio campestre di modeste dimensioni, situato ad una certa distanza dal centro del villaggio (circa 800 metri). Nel campo presso la chiesa, denominato anch’esso di San Quirico, furono rinvenuti i resti della tomba di un guerriero longobardo, risalente al VI-VII secolo. È possibile che il piccolo oratorio esistesse già da allora, ma, in mancanza di documenti, si possono fare soltanto supposizioni).
Più importante della precedente è la terza chiesa citata da Goffredo da Bussero, Santa Maria alla Roveda. Le fonti antiche riportano l’esistenza di una lapide che recitava: “1270 Prete Pietro Villani, Prevosto di Corbetta, fece ad onore di Dio e della Beata Vergine Maria questo Ospedale per i poveri in suffragio dell’anima sua”.In quell’anno, dunque, Pietro Villani fondò un ospedale in prossimità della frequentata strada consolare, luogo di transito di pellegrini e viandanti diretti verso i santuari d’Oltralpe e Santiago de Compostela. Appartenuto all’ordine degli Umiliati, esso godette di vari lasciti e fu oggetto di generosa beneficenza. Nel 1375, tuttavia, a causa delle precarie condizioni economiche, fu decisa l’annessione all’Ospedale di Santa Caterina di Milano, sancita da una successiva bolla papale e ribadita nel 1407 e nel 1409. Ai primi del Quattrocento, l’ospedale rovedese esaurì la sua funzione assistenziale, divenendo una fattoria. Nel 1458 l’Ospedale di Santa Caterina e tutti i suoi beni – conseguentemente anche il complesso della Roveda – furono annessi all’Ospedale Maggiore. La chiesa attuale è il risultato di distruzioni e rimaneggiamenti iniziati nel XVII secolo e terminati con la consacrazione del 1775.
Nel Cinquecento proseguì la crescita demografica di Sedriano, che superò i 700 abitanti alla fine del secolo.
Nonostante la presenza di alcuni artigiani – sarti e tessitori tra gli altri – il paese continuò a mantenere un’identità fortemente agricola. Secondo il catasto del 1558, Sedriano aveva un’estensione di 10880 pertiche: lo sfruttamento della terra era elevato (in particolare si coltivano cereali e viti) e solo una piccola parte era occupata da boschi.
Verso la metà del Cinquecento, si distinse un nuovo ceto sociale che fondava la propria ricchezza sulla terra e, di conseguenza, investiva capitale per sfruttarne al massimo le potenzialità. Cominciarono, dunque, ad affacciarsi sulla scena sedrianese alcune grandi famiglie di possidenti, che avrebbero ricoperto un ruolo significativo nella storia del nostro paese: i Lamagna, i Gallarati, i Sormani.
Negli ultimi anni del Quattrocento, fu eretta nel nostro paese una chiesa con la dedicazione a San Bernardino da Siena; benché le carte d’archivio superstiti non consentano di determinare con precisione l’epoca della sua fondazione, siamo in grado di fissare il termine post quem, che risulta essere il 1450, anno di canonizzazione del frate predicatore.
I documenti più antichi risalgono al 1508 e al 1516, anno in cui fu predisposto un lascito per apportare ritocchi alla struttura architettonica.
Il campanile e l’abside presentano caratteri quattrocenteschi, ma è noto che la chiesa venne ricostruita dopo la metà del Cinquecento.
San Bernardino sorse non per volontà parrocchiale, bensì di tutta la collettività e mantenne nei secoli un forte legame con essa, tanto da assumere quasi i connotati di tempio civico. Nel bilancio comunale del 1616, ad esempio, tra le uscite figura una somma destinata alla manutenzione della chiesa; le celebrazioni delle messe, inoltre, erano finanziate dal denaro popolare e dei ricchi.
Uno strumento importante per lo studio del nostro comune è dato dalle visite pastorali effettuate nei territori della diocesi per volontà di San Carlo Borromeo. Nominato arcivescovo di Milano nel 1565, egli avviò un sistematico processo di riordino della diocesi, il cui strumento principale fu appunto quello delle visite pastorali.
Nel 1567 San Carlo inviò un suo legato, padre Leonetto Chiavone, nella pieve di Corbetta, a cui Sedriano faceva capo. Dagli atti inerenti il nostro paese, si apprende che esistevano quattro chiese e due oratori.
La parrocchiale San Remigio, definita “antica”, era lunga 20 braccia e larga 15 (=11 e 9 metri) ed era sprovvista di sacrestia e campanile. Quest’ultimo dovette essere edificato in breve tempo per disposizione arcivescovile, poiché risulta esistente nel 1603, anno della visita di FedericoBorromeo, cugino e successore di San Carlo. Nella parrocchiale si trovavano, oltre all’altare maggiore, uno dedicato a Sant’Ambrogio e uno a Santa Maria.
Di costruzione moderna, San Bernardino era grande all’incirca quanto San Remigio, dotata di campanile e di sei cappelle laterali.
A San Quirico, piccola chiesa collocata in aperta campagna, non si celebrava la messa da tempo: in ragione delle sue condizioni precarie, dunque, si ordinò di abbatterla e di traslare le reliquie in San Remigio.
Presso l’antico ospedale della Roveda si ergeva la chiesa di Santa Maria, strettamente legata alla pia istituzione gestita dagli Umiliati. L’edificio attuale, dedicato alla Madonna Addolorata, è frutto di numerosi rimaneggiamenti e si presenta con veste settecentesca.
Gli altri due oratori erano situati presso due cascine distanti dal centro del paese. Il primo, consacrato a San Michele, si trovava presso la cascina De Vinci e non poteva vantare un’origine molto antica, poiché mancava dal citato scritto di Goffredo da Bussero. Il secondo, dedicato a San Martino, era annesso alla cascina di Gerolamo Casati, che va forse identificata con la cascina Legoratta.
La visita pastorale di Federico Borromeo a Sedriano, compiuta nel 1603, registra alcune recenti modifiche concernenti la parrocchiale di San Remigio, le cui dimensioni restavano comunque insufficienti rispetto al numero dei fedeli.
In un ristretto arco di anni alla fine del XVI secolo, dunque, erano state apportate importanti variazioni all’antico edificio. La principale novità aveva riguardato il cambio di orientamento della chiesa, che era stata volta ad occidente – ossia con ingresso a est – verso il nucleo storico del paese.
Prima di allora, l’abside di san Remigio era situata a est e l’entrata a ovest, secondo antica consuetudine: ciò è un ulteriore prova che fu edificata autonomamente rispetto al borgo preesistente.
In ottemperanza alle volontà borromaiche, inoltre, erano stati aggiunti il campanile, la sacrestia e il battistero. Tutti questi provvedimenti erano stati emanati al fine di conferire a San Remigio quella centralità e forte connotazione di chiesa parrocchiale che prima non possedeva.
Il XVII secolo si aprì con un periodo di guerre, carestie e pestilenze, culminante con la grande peste del 1629-1630 descritta da Alessandro Manzoni nei “Promessi sposi”.
Benché non se ne conosca l’esatta entità, anche a Sedriano la peste seminò numerose vittime. La cartografia settecentesca rivela l’esistenza di un lazzaretto oggi scomparso, che si trovava in aperta campagna, in un’area non distante dalle cascine Malpaga e Magna, dove era stata eretta una cappelletta, demolita alcuni anni fa.
Tale lazzaretto era sorto grazie alla generosità di un certo Giovan Battista Cabiati, il quale aveva donato alla comunità un suo campo su cui si potessero edificare le capanne di paglia per ospitare gli appestati. L’area era sorvegliata da vigilanti, che dovevano accertarsi che nessun malato fuggisse. Le forze dell’ordine, invece, prestavano servizio lungo le principali vie di accesso al paese – che erano comunque chiuse da steccati in legno – controllando il transito di uomini e merci.
Nel 1631 la popolazione sedrianese si trovò a fare i conti con le conseguenze della grave pestilenza; vesti, carte e vari oggetti furono bruciati per timore che fossero contaminati. Il clima di sfiducia bloccò anche l’amministrazione della cosa pubblica e nel 1634, al momento di nominare i due nuovi consoli e i due procuratori, non si trovarono i candidati.
Nel 1629 e nel 1653 si abbatterono sul territorio due tempeste così violente da compromettere definitivamente il raccolto: sugli strati più bassi della società, dunque, stremati dalle pestilenze, infierì in quegli anni anche il clima avverso. A ciò va aggiunto anche il continuo passaggio di truppe, che provocava danni ingenti alle colture e alle famiglie stesse, che per legge avevano l’obbligo di fornire ospitalità ai militari.
Intorno alla metà del secolo, il nostro paese visse altri momenti drammatici quando rischiò di essere infeudato, ossia venduto a qualche nobile. Nel 1647, infatti, il re Filippo IV di Spagna aveva ordinato al governatore di Milano di vendere tutti i territori della zona non ancora infeudati, al fine di impinguare le magre casse statali.
Nel 1650 furono pubblicamente messe all’asta le terre della pieve di Corbetta.
Sedriano riuscì a sottrarsi all’infeudazione in cambio del pagamento di lire 30 per ogni nucleo famigliare residente nel comune (all’epoca erano 67). Tale somma venne versata nelle casse statali dai procuratori sedrianesi in quello stesso anno. La vicenda si concluse, dunque, con uno stato di fatto: il paese rimase ancora sotto il dominio spagnolo senza l’ingombrante presenza di un feudatario.
Nel 1706 le truppe austriache occuparono la Lombardia, ponendo fine al lungo dominio spagnolo, iniziato nel 1535.
In materia di politica fiscale, gli Asburgo promossero delle riforme per ridurre i secolari privilegi goduti dalla nobiltà milanese: lo strumento principale di cui si servirono fu la creazione di un catasto volto a verificare i beni realmente posseduti da quelle famiglie e a certificarne l’effettivo valore. Le prime rilevazioni furono avviate da Carlo VI d’Asburgo, padre di Maria Teresa, tra il 1718 e il 1725.
Per quanto concerne Sedriano, le indagini catastali vennero effettuate nel 1722. Il quadro che emerge dal censimento è ancora quello di un paese con una forte connotazione rurale: l’agricoltura, del resto, rappresentava la principale risorsa fin dal Medioevo.
Nel Settecento, grazie al miglioramento delle tecniche e all’introduzione di nuove colture (mais), la produttività in quel campo aumentò sensibilmente. La maggioranza degli appezzamenti sedrianesi erano “a vigna”: accanto ai cereali, cioè, era coltivata a filari la vite. Le aree boschive e i terreni incolti occupavano una percentuale esigua. All’intera comunità sedrianese appartenevano 9 pertiche di terreno destinate al pascolo.
Il contratto agrario più comunemente praticato all’epoca era la mezzadria, in base alla quale i prodotti e gli utili venivano divisi tra il proprietario e il colono. Nel XVIII secolo si affacciarono sulla scena sedrianese nuovi nomi di famiglie possidenti: i Simonetta, i Borromeo, i Gallarati alla Roveda.. Non tutti, comunque, erano nobili: taluni, come il Pizzoli ad esempio, appartenevano alla classe borghese allora in piena ascesa.
Nel Settecento vi era l’usanza tra i nobili milanesi di trascorrere lunghi periodi di villeggiatura nella campagna lombarda, non tanto per coltivare gli ozi, quanto soprattutto per controllare le proprietà terriere e la loro effettiva produttività. Essi promossero generalmente l’edificazione di ville più o meno lussuose, che divenivano così presenze tangibili della loro potenza sul territorio (splendido è l’esempio di Corbetta).
Sedriano non si sottrasse a questa prassi: seppur molto rimaneggiate – anzi, spesso trasformate in edifici popolari – sono visibili ancor oggi le maestose ville di quei nobili. Le principali nella prima metà del secolo erano quelle dei Borromeo, di Agostino Pezzoli e dei Gallarati alla Riveda; secondarie, ma pur sempre importanti, erano quelle dei Fagnani, Cornaggia, Borri e Simonetta.
L’aspetto della Sedriano dell’epoca era comune a quello dei paesi limitrofi: il centro storico era costituito dalle corti, generalmente comunicanti tra loro e tutte provviste di granai, stalle, orti… In esse i contadini tenevano in deposito anche il necessario per il lavoro nei campi (carri, attrezzi, buoi…).
Gli edifici erano generalmente a ballatoio e disposti su due piani, con la cucina al piano terra e le camere a quello superiore. È superfluo ricordare che l’arredamento era essenziale; il camino si trovava in casa, mentre acqua e servizi igienici erano esterni.
Le numerose cascine che costellavano la campagna sedrianese presentavano una tipologia simile a quelle urbane. Il paese, sorto inizialmente lungo la romana strada consolare, tendeva ormai a svilupparsi verso l’interno, al cui centro vi era la chiesa di San Bernardino.
Nel XIX secolo vi furono alcuni mutamenti nell’economia sedrianese. In primo luogo, come corrispettivo dell’affitto dei campi, i coloni cominciarono a versare denaro al padrone, anziché i prodotti della terra e la loro manodopera.
Il nostro territorio era così diviso: l’80% era costituito da vigne, il 12% da aratori ed il restante 8% da prati e boschi. Tra il Settecento e l’Ottocento si intensificò la coltivazione del gelso, che procedeva parallela con l’incremento della bachicoltura. I prodotti agricoli più importanti a Sedriano erano la foglia del gelso, l’uva, il frumento e il granoturco. La rotazione agraria era effettuata ogni 2 anni: nel primo anno si coltivava il frumento, nel secondo il granoturco.
L’agricoltura mantenne il primato assoluto fra le voci dell’economia del paese almeno fino alla fine del secolo, quando fu impiantata una filanda per la lavorazione dei bozzoli: vi lavoravano 124 donne (di cui 27 erano sotto i 15 anni) e 2 maschi. Proprietario del complesso era Leopoldo Cova, membro di una famiglia che commerciava seta e possedeva fabbriche in numerosi centri della Lombardia, da Magenta a Cremona, da Arluno a Caravaggio.
Fino al 1838 a Sedriano era sempre esistito un unico sacerdote con mansioni di cura d’anime della comunità: questo ruolo era svolto dal parroco, che risiedeva presso San Remigio. Gli altri preti presenti sul territorio erano cappellani: tra i loro compiti, dunque, non vi era quello di confessare o celebrare la messa per i parrocchiani; essi erano vincolati, infatti, ad una famiglia abbiente che li manteneva.
Tale prassi si era diffusa ab antiquo. I cittadini facoltosi, in maggioranza nobili, con i loro lasciti contribuivano a decorare cappelle e altari nelle chiese: tali legati consistevano in fondi o case che servivano per provvedere agli arredi della cappella e a mantenere il sacerdote, che celebrava messe in suffragio del donatore. Presso San Bernardino esistevano cappellanie fin dal Seicento su cui i Cornaggia e i Borri esercitavano lo iuspatronato e, dunque, il diritto di nominare il sacerdote.
A causa dell’incremento demografico (ammontante a circa 1500 abitanti negli anni trenta) e dell’espansione del paese – diviso tra un centro storico e numerose cascine distribuite sul territorio circostante – il parroco sedrianese procedeva con difficoltà nel suo ministero e necessitava dell’ausilio di un altro sacerdote. L’occasione propizia per l’istituzione della figura del coadiutore si presentò nel 1838 quando, estinguendosi la famiglia Borri, si rese vacante la cappellania in San Bernardino: don Carlo Sertora fu dunque nominato primo coadiutore di Sedriano.
Il nostro paese ebbe a subire ingenti danni in conseguenza della celebre battaglia di Magenta, che ebbe luogo il 4 giugno 1859: il transito di truppe franco-piemontesi e asburgiche, infatti, provocò devastazioni al raccolto e alle abitazioni. Un sopralluogo di alcuni funzionari stimò il danno in 2325 lire austriache. Numerose furono le richieste di risarcimento presentate da vari enti e famiglie sedrianesi.
In quello stesso 1859 fu emanata una legge sull’ordinamento dei comuni: ognuno doveva avere un consiglio e una giunta, un segretario ed un ufficio comunale. Sedriano contava poco più di 2000 abitanti e la giunta era dunque composta soltanto da cinque membri: il sindaco – che, nominato dal re, restava in carica 3 anni -, due assessori e due supplenti. Il consiglio del nostro comune era costituito da quindici membri, eletti dai cittadini con diritto di voto(che erano una ristretta fascia della popolazione).
Dal censimento dei fabbricati effettuato dopo la metà del secolo, si apprende che il paese si presentava ancora con una marcata veste agricola. Si era registrato anche un certo incremento demografico e, di conseguenza, un aumento degli affitti delle case.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento cominciò a svolgersi il mercato settimanale e si fissò lo svolgimento di due fiere l’anno, il secondo lunedì di marzo e il 7 novembre.
Nel 1884 la Giunta Municipale, dopo aver acquistato nel 1882 casa Lovati, provvide a ristrutturarla per adibirla ad uso scolastico, essendo fatiscente il vecchio edificio con quella funzione. Nonostante il sussidio governativo, a causa delle ingenti spese fu stabilito un aumento della sovrimposta comunale, al fine di colmare le gravi perdite.
Nel 1880 la popolazione salì a 2462 unità ed anche il cimitero cominciò ad essere insufficiente, tanto che alcuni sedrianesi si trovarono ad essere sepolti nei cimiteri limitrofi. In quell’anno, dunque, si provvide ad ampliare il camposanto e ad edificare una nuova cappella.
Il 1879 rappresenta uno spartiacque nella storia della nostra zona: il giorno 8 agosto di quell’anno, infatti, il celebre “Gamba de legn” effettuò la sua prima corsa. Nel settembre dell’anno precedente, il Consiglio Provinciale di Milano aveva concesso alla Società Anonima del Tramway Milano/Magenta, Sedriano/Cuggiono/Castano di predisporre un Tramvai a vapore lungo la Strada Provinciale Vercellese da Milano a Magenta e Provinciale Sussidiaria per Turbigo, da Sedriano a Castano.
Il “Gamba de legn” ebbe l’effetto di ridurre le distanze fra un paese e l’altro, ma non soltanto fisicamente: attraverso questo nuovo mezzo, infatti, le persone, tendenzialmente chiusi in un certo campanilistico isolamento, iniziarono a sentirsi maggiormente vicini agli abitanti dei paese limitrofi.
Gli ultimi decenni del Cinquecento furono segnati dai primi moti popolari e dagli scioperi di contadini e operai volti a migliorare le proprie condizioni lavorative. Nel 1899 a Milano fu raggiunto il culmine della rivolta, soffocata violentemente dal generale Bava Beccaris, che diede l’ordine di sparare sulla folla.
Per riflesso, anche a Sedriano si fece evidente l’insoddisfazione delle classi meno abbienti: le autorità locali risposero al dilagante malcontento con un incremento dei controlli ed imposero il divieto di riunioni che potevano sembrare sovversive.
Nel 1899 numerosi paesi della zona si misero in sciopero, commettendo atti vandalici e saccheggiando le residenze nobiliari. In quello stesso anno, a Sedriano le filatrici si astennero per una mezza giornata dal lavoro, lamentando di essere continuamente ingiuriate e maltrattate dal direttore della fabbrica. Grazie all’intervento persuasivo delle autorità, esse ripresero a lavorare, ma il direttore fu esortato ad assumere un contegno più rispettoso.
Il 15 ottobre 2013 il Consiglio dei ministri scioglie il Consiglio Comunale di Sedriano per infiltrazioni della ‘Ndrangheta. Lo scioglimento, a norma dell’art. 143 del D.lgs. n. 267 del 2000, è stato attuato con Decreto del Presidente della Repubblica del 21 ottobre 2013. Il provvedimento è stato assunto dal Governo nella seduta n. 30 del Consiglio dei Ministri. Sedriano è il primo comune lombardo il cui Consiglio viene sciolto per infiltrazioni mafiose.
A seguito dello scioglimento, della durata di diciotto mesi, l’amministrazione del comune viene affidata alla commissione straordinaria composta dal viceprefetto Adriana Sabato, dal viceprefetto aggiunto Stefano Simeone e dal funzionario economico finanziario Rosario Guercio Nuzio.
Il 15 novembre 2015 viene eletto sindaco Angelo Cipriani del Movimento 5 Stelle.
Ultimo aggiornamento: 27/05/2022, 15:48